Allargate dunque le bocche, perché, a Natale, i bocconi della tavola romagnola si fanno succulenti.
La cucina delle feste si arricchisce di spettacolari sapori e tradizioni: vengono privilegiati i piatti conviviali, quelli preparati in grandi quantità, adatti ad accogliere amici e parenti in visita per il Natale.
In passato, il compito di confezionare i manicaretti veniva commissionato alle azdore, termine che sarebbe improprio tradurre con «massaie». Le azdore erano infatti le donne preposte al governo della casa, vere e proprie colonne portanti del focolare domestico (azdora significa, letteralmente, «reggitrice»): accudivano i figli, attendevano ai lavori domestici e – sotto le feste – si riunivano in grandi gruppi per preparare le pietanze che i rispettivi familiari avrebbero poi consumato. A loro, e al loro sacrificio, va tutta la nostra gratitudine. È spesso grazie alle azdore se si sono conservate ricette, tecniche e tradizioni passate – è il caso di dirlo – di “bocca in bocca” attraverso le generazioni.
Dunque, quali sono i piatti romagnoli tipici del Natale? Vediamone alcuni.
ANTIPASTI
Difficile essere in Romagna senza iniziare il pranzo di Natale con un tagliere di salumi e formaggi. I più tipici sono gli affettati di Mora Romagnola, razza suina autoctona nota per la sua carne sapida, utilizzata per le carni di pregio. Tra i formaggi, immancabile è lo Squacquerone di Romagna, esattamente lo stesso che viene usato per farcire le piadine. Durante le feste, il suo sapore fresco e acidulo è perfetto per accompagnare i fichi caramellati: una vera – e inedita – delizia!
PRIMI
Il primo più tradizionale e più diffuso sulle tavole della Romagna è senza dubbio cappelletto (caplét), servito con brodo di carne, solitamente cappone o gallina. I cappelletti sono più grandi dei tortellini, di norma con ripieno di ricotta, raviggiolo (formaggio tenero e delicato dalla pasta burrosa) o squacquerone e parmigiano. Solo alcune zone aggiungono al ripieno un po’ di petto di cappone o in alternativa di magro di maiale. Si cuociono in brodo di cappone.
Se non sono cappelletti, allora sono passatelli. Sempre fatti a mano e sempre in brodo. Una tipicissima pasta romagnola dalla forma allungata, che assomiglia a un grosso e ruvido spaghetto corto e soffice. Fatti di uova, pangrattato e parmigiano (con una punta di noce moscata e limone) andrebbero preparati con E fér, ovvero il «Ferro per passatelli». Si tratta di un cilindro di metallo bucato con due manici laterali che viene premuto con forza sopra l’impasto per ottenere dei vermicelli di pasta, pronti per essere gettati nel brodo. Il «Ferro» è uno strumento tradizionale, oggi quasi scomparso: se non riuscite a procurarvene uno basta un semplice schiacciapatate… non è proprio lo stesso, ma assolve alla sua funzione!
Dopo un primo piatto in brodo, è tradizione romagnola proseguire con un primo “asciutto”. Assolvono a questa funzione i Nidi di rondine. Si tratta di piccoli rettangoli di pasta all’uovo farciti con prosciutto cotto e besciamella, e poi arrotolati per creare la tipica forma ‘a nido’. Meno conosciuti delle lasagne, i Nidi di rondine rappresentano un’alternativa altrettanto golosa e saporita.
SECONDI
Protagonista indiscussa dei secondi romagnoli è la carne che, per essere gustata appieno, viene proposta in diverse varianti. Molto gettonato è l’Arrosto di Mora romagnola, magari accompagnato da un intingolo di Scalogno di Romagna: una ricetta 100% locale che permette di sposare due indiscusse eccellenze del territorio. Difficile che manchi il bollito misto. Accompagnato da verdure e salse - bagnèt verd (a base di prezzemolo, aglio e acciughe) e bagnèt ross (pomodoro, cipolla, carota e aglio) – è il re indiscusso dei giorni di festa.
Sulla costa, romagnola al contrario, la tradizione richiede carne di… pesce! Qui si cucina il meraviglioso Rombo cotto al forno con patate e olive, oppure, nel Ravennate, la saporitissima Anguilla. Il pesce però, era consumato soprattutto durante la Vigilia, tempo di «magro». Era infatti vietato cibarsi di carne e le azdore, soprattutto nei luoghi vicini al mare, portavano in tavola calamari, baccalà, cozze, vongole e pesce arrostito, tra cui la cernia o il dentice. Non mancano mazzole, scorfano, seppie, sogliole e pregiate canocchie servite su una base di olio, aglio, cipolla, vino e pepe. E chi non poteva mangiare pesce crudo si accontentava del brodetto: un tempo piatto povero dei pescatori dell’Adriatico ottenuto dalla bollitura degli “scarti” del pescato, oggi è considerato un vero e proprio trionfo di gusto!
DOLCI
Se vogliamo cercare un dolce tipico della Romagna dobbiamo andare oltre i classici panettone e pandoro, pur ben presenti. Stiamo parlando del Porcospino, dolce a forma di Porcospino, appunto, la cui base è una sostanziosa crema al burro arricchita di savoiardi intinti nel caffè: una specie di tiramisù a cui si aggiungono “aculei” fatti di mandorle o pinoli. La ricetta, sebbene antica, deve la sua reinterpretazione moderna alle sorelle Lea e Giuliana Manzelli, cuoche degli anni ’50 originarie di Mercato Saraceno. Si narra che le due azdore preparassero dolci su commissione e che il Porcospino, da loro inventato recuperando il burro e le uova avanzate da altre preparazioni, fosse gettonatissimo. Così popolare e ricercato da diventare, in pochi anni, il dolce tipico di Mercato Saraceno e, da lì, diffondersi in tutta la Romagna. Oggi al Porcospino è dedicata anche una festa che si svolge a Mercato Saraceno la prima settimana di dicembre: prevede una grande gara e degustazione di centinaia di dolci diversi, tra cui si elegge il Porcospino «Più Buono» e quello «Più Originale».