La Romagna è da sempre culla di cultura, d’ingegno e di
passione – terra di Fellini, Pascoli, della Motor Valley e del liscio, e molto
di più.
Non tutti sanno, però, che ha
dato i natali a uno dei nomi più amati e trasformativi dell’enogastronomia
italiana – commerciante, scrittore, gastronomo, voce dell’Italia del cibo e,
soprattutto, simbolo dell’orgoglio culinario romagnolo: Pellegrino Artusi
nacque tra le vie di Forlimpopoli il 4 agosto 1820.
Figlio di Agostino, un droghiere
locale, Artusi passò i primi 30 anni della sua vita in Romagna, studiando
prima presso il Seminario di Bertinoro e successivamente lettere all'Università
di Bologna, per poi dedicarsi agli affari di famiglia. A segnare una svolta nella sua vita fu una
sola, drammatica notte: il 25 gennaio 1851, durante un'incursione del brigante
Stefano Pelloni – conosciuto in Romagna come il Passatore – la casa degli
Artusi fu saccheggiata. Le perdite
economiche e il trauma, in particolare di una delle sorelle di Pellegrino,
spinsero la famiglia a lasciare la Romagna e fuggire a Firenze, dove Pellegrino
avviò un Banco di Sconto e si dedicò con successo al commercio fino al 1865,
anno in cui poté finalmente seguire le sue passioni – la letteratura e la
gastronomia.
"La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene"
Fu nella agiata casa di Firenze,
in piazza d’Azeglio, che Artusi ebbe occasione di esplorare l’arte del mangiar
bene, grazie soprattutto ai due fedeli inservienti, la cuoca toscana Marietta Sabatini e il “maggiordomo”
romagnolo Francesco Ruffilli, che lo supportarono negli esperimenti culinari. Fu
in questo ambiente stimolante e sereno che nacque, nel 1891, quello che ancora
oggi è uno dei più grandi capolavori della cucina italiana: "La scienza
in cucina e l'arte di mangiar bene".
Molto più di un semplice ricettario, "La scienza in
cucina e l'arte di mangiar bene" è un compendio di cultura
gastronomica, un'opera che ha unificato le tradizioni culinarie italiane in
un periodo storico in cui l'Italia era ancora un giovane paese in via di
consolidamento.
Fu un lavoro di comunità in tutti i sensi: le ricette incluse
nel libro sono infatti frutto di un intenso scambio epistolare con il popolo
italiano. Pellegrino Artusi aveva una rete di corrispondenti sparsa per
tutta Italia: quasi duemila persone, per lo più donne, che condividevano con
lui le loro ricette, suggerimenti e segreti culinari – una sorta di community
ante litteram che creò sin da subito un forte senso di partecipazione e portò ad
una vera e propria raccolta del sapere gastronomico collettivo italiano in
continua evoluzione (ne sono testimoni le oltre 15 riedizioni del libro).
L’eredità romagnola – il cibo, il vino
Nonostante le radici ormai profonde a Firenze, Artusi
mantenne un forte legame con la sua terra natale e le sue specialità: la
piadina, le tagliatelle, i cappelletti. Ma anche, chiaramente, il vino.
Pur avendo ben chiare alcune regole salutistiche,
specialmente per quanto riguarda la moderazione nel bere, Artusi apprezzava il
piacere del buon vino: “Alcuni igienisti consigliano il pasteggiar
coll'acqua anche durante il pranzo, serbando il vino alla fine. Fatelo se ve ne
sentite il coraggio; a me sembra un troppo pretendere”. Aveva gusti ben
precisi, e amava particolarmente i vini delle colline romagnole, che si
faceva mandare regolarmente da Bertinoro, vicino alla sua nativa Forlimpopoli.
Un simbolo dell'amore per la convivialità, per la cultura del
cibo e del vino e per la condivisione che ancora oggi definisce il popolo di
Romagna, Pellegrino Artusi è ancora oggi un’icona assoluta dell’orgoglio romagnolo
– e ne portiamo avanti con fierezza l’eredità.