Ca’ de Vèn: un pezzo di Romagna nel cuore di Ravenna | Consorzio Vini di Romagna
gennaio 2022 | Tradizione

Ca’ de Vèn: un pezzo di Romagna nel cuore di Ravenna

A pochi passi dalla tomba di Dante, nel centro di Ravenna, esiste un posto che è un puro distillato di storia e tradizione romagnola, un luogo dove conoscere l’anima di questa terra un calice di vino per volta: la Ca’ de Vèn

Ca’ de Vèn: un pezzo di Romagna nel cuore di Ravenna | Consorzio Vini di Romagna

Dalla splendida ed elegante Piazza del Popolo di Ravenna muovetevi in direzione di Via Cairoli. Scendete lungo la strada e dopo un breve tratto, prima di incontrare Via Guido da Polenta, troverete Ca’ de Vén.

Questo luogo, a poche decine di passi dalla tomba di Dante, è molto più di una semplice enoteca; è una casa accogliente, un luogo dove la storia enologica di questa terra prende posto a tavola assieme agli ospiti. Se siete alla ricerca di un punto da dove partire alla scoperta dei grandi vini a denominazione della Romagna, bene, quel posto è certamente Ca’ de Vén.

Abbiamo incontrato Rita Manzillo e Maria Grazia Guidi, titolari dell’enoteca e veri e propri genius loci del locale e, forse, dell’intera Romagna.

Rita, Maria Grazia, partiamo dall’ultima domanda che di solito si fa, e cioè: perché una persona dovrebbe scegliere di venire da Ca’ de Vèn?

M – Partiamo col dire che quando si tratta di locali, la cosa che conta è appagare vista, olfatto e gusti degli avventori. Ecco, Ca’ de Vèn è un posto che conquista tutti e tre, partendo proprio dal colpo d’occhio che si ha quando si entra, per arrivare al servizio e alla cucina che proponiamo.

R – Io ti dico che quando uno entra qui trova cordialità, gentilezza, accoglienza e poi cerchiamo di farlo stare bene quando è tavola. Ah, e poi la qualità e la passione romagnola. Qua si mangia cucina tradizionale romagnola e si bevono vini romagnoli. Abbiamo 142 produttori che coprono tutta la Romagna, da Imola a Rimini.


Insomma, avete distillato la Romagna qua dentro.

R – Ragazzo, questo è un pezzo di Romagna. Un pezzo di Romagna creato da un romagnolo, un Rasponi, alla fine del Quattrocento.


Cioè, negli stessi anni in cui Colombo partiva per le Americhe, iniziava la storia della Ca’ de Vèn?

R – Più o meno sì. Rasponi era un capitano di ventura che, fra un’impresa e un’altra, voleva un posto dove passare il tempo fra un buon piatto e un calice di vino. È così che è nata la sua osteria, “L’Osteria della Corona”. È tale è rimasta fino alla fine del Settecento, per poi diventare una drogheria, la drogheria Bellenghi, per oltre un secolo. E infatti se guardi i mobili e gli scaffali quelli sono ancora originali della drogheria.

Da quanto tempo gestite Ca’ de Vèn?

R – Io da 25 anni. Anzi, facciamo 30, visto che prima mi occupavo solo della cucina.

M – Io la metà del tempo, circa 12 anni e mezzo.


Un sacco di tempo. Vado dritto al punto: qual è il segreto per far funzionare le cose così a lungo?

R – Abbiamo due compiti ben definiti, ecco perché funzionano. Lei (Maria Grazia, nda) è bravissima con le cose burocratiche, gestione del personale e delle pratiche e cose così. Però potresti dirlo tu eh.

M – Sì sì, io mi occupo della parte burocratica e del marketing e i rapporti con i professionisti. Rita si occupa del food & beverage e di tutto quello che ci gira intorno.

R – Poi ovvio, quando Maria Grazia va in ferie sto io in cassa. Certo, non mi piace, ma bisogna essere polivalenti. Insomma sì, il segreto è l’organizzazione. E fidati che sono 64 anni che faccio questo lavoro, non sono nata ieri eh, ma ti dico: questo è un lavoro che è difficile fare bene.


In che senso?

M – Che la burocrazia è un incubo. Una persona prima di aprire un locale dovrebbe studiare da commercialista, da avvocato e da informatico, perché son quelle le cose più pesanti.

R – Dicevamo della cucina no? Che sono partita da lì. Uno pensa che basti scegliere ingredienti di qualità e ottimi fornitori, ma in realtà la parte più difficile è quella burocratica.


So che è difficile, ma se doveste dirmi il vostro vino a denominazione romagnolo preferito quale scegliereste?

R – Eh, per me Romagna Sangiovese DOC. Negli ultimi anni sono stati fatti passi da gigante con il Sangiovese. Eh, ma perché in Romagna ci sono davvero grandi enologi…

M - Io invece sono più da bianco. Romagna Albana DOCG, Romagna Pagadebit DOC

R – I bianchi romagnoli anche loro hanno fatto dei passi da gigante, dei miglioramenti incredibili. Vedi i riconoscimenti che prendono le Romagna Albana DOCG…grazie a questi e all’impegno dei produttori noi facciamo andare 60 bottiglie di Albana a settimana, per dire.

Già che ci siamo ti chiedo un ricordo legato al Sangiovese!

R – Vent’anni fa, forse anche più, stavo parlando con un amico produttore, anzi, più un amico che produttore. Pensa che mi portava le vinacce di sangiovese per mettere ad affinare i formaggi. Insomma, ricordo molto bene quel pomeriggio, quel calice di Romagna Sangiovese DOC che, purtroppo, non viene più prodotto.


Quindi non è stato il primo calice di Sangiovese a far scoccare la scintilla…

R – Diciamo che quello è stata la conferma definitiva. Io prima amavo le bollicine, ma poi con quel calice è cambiato tutto. Adesso su 5 calici di vino, 3 sono di Sangiovese e due son bollicine.

M – A proposito di bollicine apprezziamo tantissimo, e lo apprezzano i clienti, il progetto del Novebolle. Ha veramente fatto riscoprire la tradizione spumantistica romagnola. È una bollicina romagnola, una cosa che mancava. C’è un grande movimento di recupero del passato enologico. Penso al Famoso (vinificato come Ravenna IGT e Rubicone IGT) o al Bursôn, che fino all’altro ieri erano uve da taglio, e invece ora hanno conquistato un posto importante nell’offerta del territorio.


Qual è invece il piatto della tradizione a cui siete più legate? Specifico legate, perché non è detto che debba per forza essere in carta.

R – Sarà già che non metto in carta i cappelletti al ragu!

M – Eh, i cappelletti sono una cosa speciale anche per me.

R – Ascolta, il cappelletto è un piatto che prende e ti riporta in Romagna. Ieri sera a quel tavolo c’era un insegnante di danza milanese che mi ha detto: “Rita, io non posso tornare a Milano senza aver mangiato i vostri cappelletti”. Il cappelletto è la tradizione per antonomasia, poi ci sono le altre paste.

Beh, non hai esitato! Significa che hai un particolare ricordo legato a questo piatto?

R – Vedi, c’era una signora anziana, Colomba, che un tempo aveva un suo locale e da cui ho imparato a farli. Lei metteva tutto formaggio, Parmigiano Reggiano di 36 mesi, rosso d’uovo e noce moscata nell’impasto, e io ho imparato a farli così. E ricorda che il cappelletto nasce nel brodo e muore nel ragu, e infatti noi li cuciniamo nel brodo e poi li passiamo nel ragu.


Rita, adesso che mi hai dato il “benvenuto” nella tua cucina, avresti voglia di raccontarmi come ti è nata la passione per la gastronomia?

R – È sempre stata la mia passione, già da quando avevo 12 anni. Io guardavo gli altri, mia sorella, i miei cugini, perché è così che si impara a cucinare: rubando con gli occhi e poi mettendo in pratica con la passione. La cucina poi è solo uno dei modi attraverso cui parlo della mia terra. Tu forse non ci crederai, ma io “sento” la mia terra, la Romagna, in quello che faccio e nelle cose che ci sono qua. Ci credi che accarezzo le bottiglie ogni tanto? Con gli occhi, con le mani. È così che arrivo a conoscere la terra che abito e le cose che vendo. Che poi mi serve anche per fare questo lavoro. Se viene uno e mi dice “Ho bisogno di una bottiglia di vino!”, io gli chiedo quanti anni ha, che lavoro fa la persona a cui deve portarlo. Gli dò un consiglio su misura per portarsi a casa un vino e un pezzo di Romagna che sia adatto all’occasione e alla persona. Poi tornano sempre a ringraziarmi.


Cucina romagnola a parte, quale tradizione gastronomica ti intriga di più?

R – Ah, bella questa. Io l’Italia l’ho girata tutta, per motivi gastronomici, per provare i piatti poveri della tradizione popolare. Fino a poco tempo fa proponevamo un piatto tipico di un’altra regione qua a Ca’ de Vèn. Se mi chiedi qual è stato il piatto preferito dalle persone ti dico fave con la cicoria, della Puglia. È stato un successo.


Interessante questo cenno ai piatti poveri. Secondo te ce n’è uno della tradizione romagnola che meriterebbe più “popolarità” o in generale di essere riscoperto dalle persone?

R – Per me i manfrigul, che vanno con una crema di spinaci e zucchini, oppure la spoja lorda. Allora, quando facevano i cappelletti avanzavano sempre un po’ di pasta, no? Le Azdore la stendevano e la “sporcavano” con un cucchiaio di ripieno rimasto, la chiudevano e la facevano in brodo. Era per recuperare tutti gli avanzi. Più povero di così.

Parlando invece di territorio, quali sono i luoghi, oltre a Ravenna ovviamente, che consigliereste e a cui siete più affezionate?

M – Ah, la parte valliva della Romagna è meravigliosa. Le Valli di Comacchio ad esempio, con quei panorami, e una cucina che è già diversa da quella che abbiamo qua. Penso all’anguilla per cui sono famosi da quelle parti. E poi le saline di Cervia, dove puoi vedere i fenicotteri. Uno spettacolo.

R – Le saline sono stupende. Ce n’è ancora una che raccoglie il sale con il metodo tradizionale (metodo cervese, di cui abbiamo parlato in un articolo dedicato, nda), la salina Camillone. Ecco, noi il sale di Cervia lo usiamo per la carne, ai ferri ad esempio, o con il castrato, anche quello tipicamente romagnolo. Poi dovessi dirne altri, ti dico Brisighella, un posto da favola, dove c’era questo posto che è stato portabandiera della Romagna, che adesso non c’è più e per questo ti faccio il nome, ed era Gigiolè. Poi… ma sono di parte, perché secondo me venire qua (alla Ca’ de Vèn, nda) è bellissimo, ti prendi un bicchiere di vino, leggi il giornale, poi vai a visitare eh, però è bellissimo. Ah, la Romagna è stupenda. Te ne posso dire ancora uno?


Assolutamente sì!

R – Se dovessi andare ancora in un posto, uno solo, andrei a Verucchio e Villa Verucchio a mangiare da…no, non faccio nomi perché non va bene, ma andrei a mangiare una piadina che la fanno larga larga, con una bella fetta di lonza di maiale, che anche quella la fanno loro. A me piace andare a trovare gli amici che fanno da mangiare cose buone. Abbiamo questa cosa in comune che rispettiamo il territorio. Bisogna rispettare il territorio.


In che senso?

R – Nel senso che se vai in un posto e non usi ingredienti che vengono da qua, e poi non hai vini romagnoli in carta non stai rispettando il territorio. Se vengo in Romagna, penso, vorrai ben mangiare e bere romagnolo, no?

A questo proposito, credi che manchi ancora qualcosa alla Romagna dal punto di vista turistico? Prendi uno straniero: probabilmente la Romagna non è fra le prime 3 mete che gli vengono in mente pensando all’Italia.

R – Allora, abbiamo recuperato tanta strada rispetto ad altre regioni. La Romagna non è certamente seconda a nessuno, non le manca niente. Penso alla Toscana. Il Sangiovese è nato qua, e poi è andato di là! Vogliamo parlarne? Parliamone. Ci sono i carteggi medievali che lo confermano, però anche se è una cosa romagnola, tutti conoscono il sangiovese di Toscana. Perché loro han fatto quadrato attorno al Chianti e l’han fatto diventare “Il Chianti”. A noi manca questa cosa. Forse ci siamo vicini con il Predappio. Le persone quando vengono e vogliono un Romagna Sangiovese DOC di quella zona mi chiedono direttamente “un Predappio”.


Diresti che quella di Predappio è una delle tue sottozone preferite?

R – Sì, ma poi sono tutte ottime. Comunque la mia preferita è quella di Modigliana. Mi piace la sua eleganza. Le sottozone sono un ottimo modo per distinguere fra le diverse personalità del Romagna Sangiovese DOC, che effettivamente sono molto diverse una dall’altra. Per me, in Romagna, si sta producendo molto bene. Ma manca ancora un qualcosa, una scintilla…poi non avremo più niente da invidiare a nessuno.


Ultima domanda: ti ho chiesto dove sta andando la Romagna, ora ti chiedo di Ca’ de Vèn. Come cambierà questo posto nei prossimi anni?

R – Ca’ de Vèn è energia, calore e amicizia. E questo rimarrà per sempre. Perché la tradizione rimane, le mode passano, e questo posto è tradizione. Qua dentro la Romagna la tocchi, la respiri, è ovunque. Io volevo che fosse così, ci ho lavorato ogni giorno, mettendoci l’anima. E si può fare di meglio!


Hai ragione, questo posto sprizza energia, c’è un’anima bellissima qua dentro. Mi sa che è la tua, sai?

R – Può darsi…